
CONVEGNO REGIONALE DI MEDICINA PENITENZIARIA. LE MALATTIE EPATICHE ED ETIOLOGIA VIRALE: UN APPROCCIO INTEGRATO
Dalle ultime rilevazioni statistiche giungono dati estremamente preoccupanti: più della metà della popolazione carceraria italiana risulta affetta da svariate patologie e, nella maggior parte dei casi, si tratta di soggetti affetti da epatite C. Tuttavia a fronte di queste cifre così rilevanti, non sempre i detenuti ricevono le cure adeguate per la malattia epatica visto che solo la metà di essi viene messo in terapia e, fra questi, un quarto dei pazienti non l'accetta. Un terzo dei pazienti in trattamento, poi, sospende la cura prima del previsto. Questo significa che su cento detenuti con epatite C sono 74 quelli che non seguono alcuna terapia o la interrompono prima.
Le ragioni per le quali l'epatite C è divenuta la "malattia del carcere" sono diverse. Ci sono alcune abitudini, legate alla tradizione della vita carceraria, che sono alla base di questa epidemia: la diffusa pratica del tatuaggio con ogni mezzo (aghi rimediati iniettandosi sotto pelle l'inchiostro delle penne a sfera) oltre, naturalmente, al sovraffollamento che costringe a stare in soprannumero in ogni cella, o, infine, stili di vita non sani, prima di entrare in carcere, come la tossicodipendenza.
Per affrontare seriamente questa situazione che rischia di esplodere è necessario riconvertire e potenziare i "centri clinici" presenti nelle varie strutture penitenziarie e riattivare lo staff sanitario presso la Direzione Generale dei Detenuti e del Trattamento. Un organismo, quest'ultimo, dell'Amministrazione penitenziaria, che ha avuto finora solo compiti burocratici e di coordinamento (spostamento dei detenuti, ecc.) ma che dovrebbe divenire anche un centro di specifiche competenze per affrontare l'emergenza sanità delle carceri. In una parola, più mezzi e strutture per un azione incisiva sull'epidemia epatite C.